Ep. 05: The Pale Blue Dot, Voyager e noi

Episode 5 April 06, 2024 00:21:11
Ep. 05: The Pale Blue Dot, Voyager e noi
Hic Sunt Leones
Ep. 05: The Pale Blue Dot, Voyager e noi

Apr 06 2024 | 00:21:11

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Show Notes

Il 14 febbraio 1990 la sonda spaziale Voyager scatta la sua ultima fotografia. Non è l'immagine di un pianeta, né di una nebulosa o di un asteroide; è una foto della terra, una foto di casa.

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Episode Transcript

[00:00:01] Speaker A: As the Secretary General of the United Nations, an organization of 147 member states who represent almost all of the human inhabitants of the planet Earth, I send greetings on behalf of the people of our planet. We step out of our solar system into the universe seeking only peace and friendship, to teach if we are called upon, to be taught if we are fortunate. We know full well that our planet and all its inhabitants are but a small part of this immense universe that surrounds us, and it is with humility and hope that we take this step. [00:00:54] Speaker B: State ascoltando Ixunt Leones, un podcast su confini superati e limiti infranti. Qui troverete storie di uomini e donne che si sono trovati alla fine della loro strada battuta, ma sono andati avanti lo stesso, a spostare quella linea oltre la quale ci sarebbero stati leoni. Un po' più in là. Su questo pianeta noi siamo l'unico essere vivente con delle funzioni cognitive che per certi versi potremmo considerare superiori. Ne ci furono mai, con buona pace di chi ci crede, dei contatti con esseri intelligenti venuti dal cielo. Forse anche per questo motivo che l'essere umano, soprattutto per mezzo delle religioni, sia posto in una posizione in qualche modo privilegiata al centro dell'universo. I nostri antenati osservavano ogni giorno il sole muoversi nel cielo e di notte la luna e le stelle con dei cicli perfetti. Non poteva essere un caso, e se tutti gli astri girano attorno alla Terra, non poteva che essere evidente la nostra posizione centrale nell'universo. Per secoli queste sono state come delle certezze, dei postulati intoccabili da un certo punto di vista anche scientifici, dal momento che erano basate sull'osservazione diretta. Nel II secolo il più grande astronomo dell'antichità, Claudio Toromeo, era già a conoscenza della sfericità della Terra e della sua dimensione minuscola rispetto alle distanze tra le stelle, ed era convinto che questa si trovasse proprio al centro del paradiso. A questo sistema credettero anche Aristotele, Platone, Sant'Agostino, Sant'Omaso d'Aquino e tutti gli altri grandi filosofi per i successivi 3000 anni, fino al XVI secolo. Alcuni si arrovellarono per capire come il Sole, la Luna, i pianeti e le stelle potessero rimanere attaccati a delle sfere concentriche e cristalline in moto attorno alla Terra. In qualche modo riuscirono a giustificare tutto e da quel punto il passo successivo, quello fatto da Platone nel Timeo, fu incorporare l'uomo come essenziale nella perfezione dell'universo. Il sistema tolemaico iniziò ad essere messo in dubbio, dicevamo, a metà del XVI secolo con Copernico. Gli astronomi capirono presto il pericolo del quadro con il Sole al centro dell'universo e non la Terra. Per questo rassicurarono subito i teologi che la nuova blasfema ipotesi non era che un semplice modello di calcolo e che non dovevano temere. Fortunatamente, con una certa dose di ingenuità, il clero ci credette, almeno all'inizio. A Galileo invece andò decisamente peggio. Ormai Anziano venne minacciato di tortura per aver usato parlare contro le sacre scritture. Con il suo telescopio osservò per la prima volta la gibollata superficie della luna e dei pianeti, e le macchie solari, delle profane imperfezioni dei sacri astri. Galileo morì nel 1642. Per nostra fortuna nel 1832, e solo 200 anni dopo, la Chiesa decise di rimuovere i suoi scritti dall'Indice dei Libri Proibiti, per cui oggi possiamo leggerli senza avere paura della dannazione delle nostre anime immortali. Qualche generazione dopo, Isaac Newton dimostrò con la sua fisica come si possono prevedere tutti i movimenti e le fasi planetari partendo dal sistema ediocentrico. Nel 1725 James Bradley, un astronomo principiante, osservò le aberrazioni della luce stellare. La luce emessa dalle stelle non incontra la Terra fissa, ma un pianeta che ogni volta è in una posizione diversa. Potete vedere questo fenomeno se allungate il braccio davanti a voi col pollice alzato. Guardandolo, se chiudete prima un occhio poi l'altro, dovrete muoversi leggermente. Questo perché gli occhi sono in due posizioni diverse. Ebbene questo fenomeno stellare lo si può spiegare solo se la Terra è appunto in moto. Al tempo del XIX secolo, le prove a favore degli egocentrismo erano mai troppo schiaccianti per essere condannate dalla Chiesa, e finalmente nel XX secolo arrivarono le foto e l'allunaggio. Abbiamo scoperto che quando si mandano onde radio verso i pianeti, non ritornano interferenze delle sfere di cristallo, e le sonde arrivano a destinazione con precisione millimetrica, esattamente come previsto dalla fisica newtoniana, senza che si sentano rumori di vetri rotti propagarsi nell'etere. Nei secoli abbiamo sempre disperatamente ricercato il privilegio, non per qualche merito, ma per la nostra stessa esistenza. Si potrebbe dire il privilegio di essere uomini sulla terra. Pensiero che d'altro canto culmina con la forma del Dio cristiano, un essere onnisciente e onnipotente, creatore di ogni cosa che assomiglia a un comune nonno occidentale. Un canuto anziano seduto non al bar, ma su una nuvola. Al contrario, la scienza moderna è stata ed è tuttora un viaggio nello sconosciuto, con una lezione di umiltà da aspettarci ad ogni passo. In un'anonima stanza beige al piano terra di un palazzo di Pasadena, in California, ogni giorno si viaggia. È il centro per il controllo delle sonde spaziali gemelle Voyager. Lo si può dire grazie a un cartellino in cartone stampato con scritto, hardware fondamentale delle missioni Voyager, per favore non toccare. Queste ultime parole scritte in maiuscola. Il programma venne concepito negli anni 60 e fondato nel 72, con lo scopo di raggiungere ed analizzare i giganti gassosi Giove e Saturno e i due giganti di ghiaccio Urano e Nettuno con le rispettive lune, di cui all'epoca non si sapeva quasi nulla. A causa di un sottofinanziamento venne garantito il funzionamento delle sonde fino a Saturno, motivo per cui la sorpresa è giustificata, sapere che riusciamo a comunicare con loro ancora oggi, a distanza di 47 anni. Le due sonde pesano circa una tonnellata, sulla terra chiaramente, ed aperte sono grandi più o meno quanto una piccola villa. Consumano circa 400 watt di energia, meno di una piccola villa, che recuperano da due generatori a plutonio radioattivo, che saranno in grado di fornire energia sufficiente almeno fino al 2025. La potenza riservata alla radio è tra i 12 e i 20 watt, circa come quella di una lampadina del frigorifero. Abbastanza per la NASA per comunicare con tecnologie degli anni 70 a 20 miliardi di chilometri nello spazio, dove però non ci sono gallerie, cosa che le giustifica in parte. A causa delle radiazioni del generatore, gli strumenti più sensibili sono posizionati alla fine di lunghi appendici metalliche, che danno al tutto un certo aspetto fantascientifico. Ogni sonda è costata circa quanto un bombardiere strategico, ma a differenza di questi non potranno mai tornare all'angara per delle veloci riparazioni, per questo vennero costruite in maniera ridondante. Se qualcosa si fosse rotto, i computer di bordo avrebbero sfruttato dei particolari processi logici per cercare di mettersi a posto in maniera autonoma, e solo se non ci fossero riusciti avrebbero trasmesso un messaggio di aiuto a casa. I computer dispongono di una memoria di 70KB, su cui non è installato un sistema operativo perché occuperebbe troppo spazio. Non hanno nemmeno dei veri e propri programmi. Sono in grado di leggere delle linee di codice binari in modo che a certe semplici sequenze possano attribuire un significato. Scatto una foto, alineo l'antenna, trasmetti a casa. Anche le comunicazioni avvengono con delle linee di codice, delle sequenze di 0 e 1 che viaggiano nello spazio sotto forma di onde radio. Per fare in modo che Voyager decodifichi il segnale in maniera corretta, all'inizio di ogni messaggio è presente una sequenza d'inizio, dopo la quale il computer può iniziare a leggere. Ebbene questo sistema, il più efficiente e funzionale che i migliori ingegneri della NASA, e quindi potremmo dire del mondo, hanno potuto trovare, è del tutto analogo a quello che accade in ogni cellula vivente costantemente. Dal più semplice battere unicellulare ai nostri neuroni, passando per funghi e piante. La vita sul nostro pianeta si basa su una serie di messaggi contenuti nel nostro codice genetico, non strisce di 0 e 1 come per Voyager, ma di quattro basi, intervallate appunto da sequenze di inizio e di fine. Questo sistema naturale, che potremmo chiamare a codici, ha generato per mezzo della selezione naturale, quindi per mezzo dell'essere umano, un sistema artificiale che funziona in maniera analoga, come una grossa cellula meccanica che sta viaggiando a 60.000 km all'ora verso galassie che non vedremo mai. E di fronte a questo credo che non si possa che provare un certo senso di attaccamento, e in qualche modo malinconia. Le Voyager lasciarono la Terra il 5 settembre e il 20 agosto 1977. Il giorno non fu scelto a caso, ma venne sfruttata una minuscola finestra di tempo in cui i pianeti erano in una configurazione tale da poterne sfruttare l'effetto fionda, posizione che si ripete ogni 175 anni. La manovra della fionda gravitazionale è fondamentale. Per accelerare un oggetto nello spazio senza utilizzare una propulsione intrinseca, si può fare in modo di fare orbitale tale oggetto attorno a un pianeta, per poi abbandonarlo in un preciso momento dopo averne sfruttato l'accelerazione di gravità. Una manovra di estrema precisione, le sonde sarebbero dovute rimanere in un corridoio di 150 km di larghezza, una rievocazione in scala della freccia di Ulisse attraverso i fori delle 12 scuri. Nel caso di Voyager, la velocità raggiunta è stata di 61.500 km all'ora, tra gli oggetti più veloci di sempre. Ma se da una parte la sonda è stata accelerata, dall'altra parte il pianeta Fionda, Giove nel nostro caso, per il principio di conservazione dell'energia è stato rallentato. Tra 5 miliardi di anni, quando il nostro Sole sarà diventato una gigante rossa, Giove sarà un millimetro più indietro di quanto non lo sarebbe stato senza il nostro disturbo. Il primo gigante gassoso venne raggiunto dopo due anni di viaggio dalla Terra. Per arrivare a Saturno, l'etapa successiva, se ne dovettero aspettare altrettanti, mentre per Urano-Nettuno l'attesa fu di ben sei e sette anni dal precedente. Il loro viaggio è stato caratterizzato da importantissime scoperte astronomiche. Grazie a Voyager sappiamo che il satellite di Giove, Io, grande circa come la nostra Luna, ha un'attività vulcanica dieci volte più intensa di quella della Terra, che è in grado di influenzare l'intero sistema gioviano. Sappiamo con precisione la composizione dell'atmosfera di Saturno e dei suoi anelli. Abbiamo potuto osservare da vicino la Luna Titano, con la sua spessa atmosfera fatta di idrocarburi e con le sue piogge di metano, e la piccola Luna Enselado, il corpo più riflettente dell'intero sistema solare, che grazie anche alla successiva osservazione per mezzo della sonda Cassini-Huygens è ora uno dei principali target per la ricerca di forme di vita. Abbiamo scoperto che anche Urano e Nettuno possiedono degli anelli e molte più lune di quanto non si pensasse. Da una di queste, Tritone, eruttano enormi geyser di azoto fino allo spazio. Abbiamo osservato fenomeni tipicamente terrestri sparsi per tutto il sistema solare. Per monitorarli sono stati sviluppati sistemi matematici che vengono utilizzati ogni giorno anche per il nostro pianeta. Tra questi ci sono anche i modelli che ci permettono di prevedere il cambiamento climatico e dei rischi ad esso connessi. Da quell'estremo bastione, non di orioni con navi in fiamme, ma da quello molto più vicino dell'orbita di Nettuno, non ci sarebbe stato più molto da vedere. Da elaborare sì, le sonde hanno degli strumenti utili da analizzare diversi tipi di radiazioni, ma da vedere ben poco. Fu Carl Sagan che insistette per girare verso casa gli obiettivi. Al controllo missioni erano scettici. Ogni manovra a quelle distanze si può considerare pericolosa, e quella era oltretutto futile. Sagan però l'ebbe vinta. Il 14 febbraio 1990 gli occhi di Voyager si girarono verso la Terra per l'ultima volta e scattarono una foto. Subito dopo, in modo da conservare la preziosa energia per gli strumenti fondamentali, come il computer e la radio, le fotocamere vennero spente per sempre. Quei pixel rubati allo spazio formarono lentamente l'immagine che vedete come copertina di questo episodio. Si vede la Terra a casa nostra, distante 6 miliardi di chilometri. È un pixel azzurro in mezzo a quello che sembra essere un raggio luminoso, in realtà un artefatto della fotografia. Tutto il resto è scuro, come un cielo senza stelle. Scrive Carl Sagan a proposito dell'immagine. Guardate ancora quel puntino, è qui, è casa, è noi. Su di esso tutti coloro che amate, tutti coloro che conoscete, tutti coloro di cui avete mai sentito parlare. Ogni essere umano che sia mai esistito hanno vissuto la propria vita. L'insieme delle nostre gioie e dolori, migliaia di religioni, ideologie e dottrine economiche così sicure di sé, ogni roe e codardo, ogni re e plebeo, ogni giovane coppia innamorata, ogni inventore ed esploratore, ogni santo e peccatore della storia della nostra specie è vissuto lì, su un minuscolo granello di polvere sospeso in un raggio di sole. La Terra è un piccolissimo palco in una vasta arena cosmica. Pensate ai fiumi di sangue versati da tutti quei generali e imperatori affinché, nella gloria e nel trionfo, potessero diventare per un momento padroni di una frazione di un punto. Pensate alle crudeltà senza fine inflitte dagli abitanti di un angolo di questo pixel, agli abitanti scarsamente distinguibili di qualche altro angolo, quanto frequenti le incomprensioni, quanto smagnosi di uccidersi a vicenda, quanto fervente il loro odio. Le nostre ostentazioni, la nostra immaginaria autostima, l'illusione che noi abbiamo una qualche posizione privilegiata nell'universo, sono messe in discussione da questo punto di luce pallida. Il nostro pianeta è un granellino solitario nel grande avvolgente buio cosmico. Nella nostra oscurità, in tutta questa vastità, non c'è alcuna indicazione che possa aggiungere aiuto da qualche altra parte per salvarci da noi stessi. La Terra è l'unico mondo conosciuto che possa ospitare vita. Non c'è altro posto, perlomeno nel futuro prossimo, dove la nostra specie possa migrare, visitare sì, cronizzare non ancora. Che ci piaccia o meno, per il momento, la Terra è dove ci giochiamo le nostre carte. è stato detto che l'astronomia è un'esperienza di umiltà che forma il carattere. Non c'è forse migliore dimostrazione della follia delle vanità umane che questa distante immagine del nostro minuscolo mondo. Per me, sottolinea la nostra responsabilità di occuparci più gentilmente l'uno dell'altro e di preservare e proteggere il valido punto blu, l'unica casa che abbiamo mai conosciuto. Ma oltre i computer di bordo, oltre i telescopi, il riscaldamento e tutti gli altri componenti, Voyager porta con sé, potremmo dire, anche un bagaglio. È un disco placato in oro, contenuto in una custodia con inciso una mappa stellare per trovare la Terra. La custodia è anch'essa in oro, ma con aggiunto Uranio-238, un isotopo ipoteticamente utile ad una datazione, con un'emibita di 4 miliardi di anni. Sulla porzione interna del vinile è scritto in inglese, ai creatori di musica, tutti i mondi, tutti i tempi. Nel disco sono stati incisi diversi suoni dalla terra, dei saluti in 55 lingue diverse e una serie di canzoni rappresentative da tutto il mondo, da canti tipici georgiani al flauto magico di Mozart. In maniera curiosa, le canzoni che vennero scelte in qualche modo per rappresentare gli Stati Uniti nell'eternità sono un pezzo di Louis Armstrong, Blind Willie Johnson e Johnny B. Goode, il Jack Berry, tre artisti di colore. Oltre a questi, il disco si apre con il messaggio del Segretario delle Nazioni Unite dell'epoca che avete sentito inizio episodio. È un messaggio pacifista, collettivista, umile, che a dirla tutta rappresenta ben poco la situazione della Terra. Nel 1977 siamo nel pieno del conflitto tra Stati Uniti e Unione Sovietica, ad un passo dalla guerra nucleare, il rischio quello di far saltare per aria l'intero pianeta. Ma allo spazio, che per ora ha ben poco per cui combattere, viene affidato questo messaggio. E forse ci potremmo augurare che nessuno lo trovi, che nessuno venga mai a controllare, sarebbe spiacevole mostrare, prima di tutto, la nostra spaziale ipocrisia. Nel 2013 le sonde hanno attraversato il confine della cosiddetta eliosfera, il passaggio tra l'influenza elettromagnetica del nostro Sole con un'enorme bolla protettiva e quella dello spazio. Tra circa 300 anni Voyager 1 arriverà alla nube di asteroidi che circonda il Sistema Solare. Per attraversarla ne impiegherà 30.000. Successivamente proseguirà il suo viaggio orbitando attorno al centro della Via Lattia, lasciandoci al nostro braccio periferico. Ma forse il termine periferico non è corretto, dopo tutto la periferia è sottintesa in una certa vicinanza ad un centro. Ebbene il centro della nostra galassia è distante da noi circa 28.000 anni luce. Andromeda, la galassia più a nostra portata, è a 2.5 milioni. La stella a noi più vicina, Proxima Centauri, è a 4 anni luce. Oggi Voyager 1, il più lontano oggetto mai costruito dall'uomo, che dal 1977 viaggia ininterrottamente ad una velocità di più di 60.000 km all'ora, è distante dalla Terra 22 ore luce e mezza. Dal giorno del loro lancio, le Voyager trasmettono a casa, con crescente difficoltà ma a regolari intervalli di tempo, i dati che le riguardano, come la loro posizione, la rotta e le radiazioni dello spazio profondo. Un giorno, tra i prossimi anni, qualcuno sarà nella stanza beige di Pasadena ad attendere le solite notizie, ma ci sarà soltanto silenzio. Le sonde, oramai statue ghiacciate, diventeranno gli ambasciatori dell'umanità. Con ogni probabilità nessuno le troverà mai, ma forse non è quello il punto. Quando la nostra civiltà sarà giunta al termine, il nostro sole spento, il nostro pianeta con la sua natura, storie, arte, culture, la sua memoria ridotto in polvere, le due Voyager staranno ancora viaggiando attorno al centro della Via Lattea, portando con loro un frammento della terra e di noi, un frammento di casa. Grazie per avermi ascoltato e alla prossima. Avete ascoltato Ixunt Leones, un podcast scritto e narrato da Filippo Cucchetti, che sarei io, e prodotto da Unigie Radio, la voce dell'Università di Genova. Se volete rimanere aggiornati su questo ed altri programmi, ed eventualmente per fare domande o osservazioni, potete seguire le pagine social che trovate in descrizione. [00:18:48] Speaker C: Sottotitoli e revisione a cura di QTSS Sottotitoli e revisione a cura di QTSS All'imante di natura... All'imante... All'imante... ...se non attraverso te. FINE.

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