Ep. 03: K2, una storia all'Italiana

Episode 3 January 06, 2024 00:21:10
Ep. 03: K2, una storia all'Italiana
Hic Sunt Leones
Ep. 03: K2, una storia all'Italiana

Jan 06 2024 | 00:21:10

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Nel 1954 due uomini piantano il tricolore sull'inviolata cima del K2. Ma quella che doveva essere una storia italiana di rinascita, negli anni si rivela nella sua vera forma: la più alta storia all'italiana di sempre.

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Episode Transcript

[00:00:06] Speaker A: Riprendiamo a chiamare, a chiedere aiuto, ma nessuno si farà più vivo per tutta la notte. Alternando una promessa ad una preghiera, convinco Mavi a sedere accanto a Matt. Il gelatroce ci sta paralizzando, è una tortura. Stiamo sempre addossati e protetti l'uno dal corpo dell'altro. Conscio oramai che ognuno deve lottare da solo per la propria sopravvivenza, senza poter sperare in nessun altro aiuto. Il nucleo delle vicende che sto per raccontare prende atto tra il tardo pomeriggio del 30 luglio 1954 e la mattina del 31. Si parlerà poi molto di cosa successe in quelle ore, di cosa successe in quei 500 metri di dislivello che separavano un tanto discusso Campo 9 a 8100 metri e gli 8611 della vetta della seconda montagna più alta del mondo, il K2. [00:01:03] Speaker B: State ascoltando Ixunt Leones, un podcast su confini superati e limiti infranti. Qui troverete storie di uomini e donne che si sono trovati alla fine della loro strada battuta, ma sono andati avanti lo stesso, a spostare quella linea oltre la quale ci sarebbero stati leone. [00:01:19] Speaker A: Un po' più in là. Fino al XIX secolo le montagne dell'Himalaya erano considerate delle divinità intoccabili. I locali non ci mettevano piede e per molto tempo, ed alcuni casi anche oggi, venne impedito l'accesso agli esploratori occidentali. E dall'inizio poco importava, d'altro canto le catene montuose spesso si trovano in zone del tutto prive di interesse strategico. Ma nel corso degli anni diventarono le sole zone non ancora mappate. E così inevitabilmente sempre più scarponi occidentali iniziarono a calpestare i sacri suori dell'Himalaya. Arrivati alla fine della Prima Guerra Mondiale, per gli stati europei ridotti a brandelli dal conflitto, quelle sconosciute vette iniziarono ad assumere un altro simbolismo, un nuovo terreno di scontro. Uno per volta ogni paese iniziò a guardare con interesse la sua cima. Nel 1922 venne organizzata la prima spedizione inglese volta alla conquista dell'Everest, e ben presto ne divenne una questione di primaria importanza politica. I francesi avevano puntato l'Annapurna, mentre nel 1924, in Germania, usciva La Montagna del Destino, un documentario sul Nanga Parbat, la nona montagna più alta della Terra. Tutte queste spedizioni venivano narrate in termini altisonanti nazionalistici, ma soprattutto per i tedeschi, prostrati dalle condizioni del Trattato di Versailles, era diventata una battaglia da vincere, Battaglia, in tedesco Kampf, termine ripreso e reso tristemente famoso l'anno successivo da un giovane Adolf Hitler. Ma veniamo alla nostra penisola. Dalla sua nascita nel 1861 il bel paese non mancò mai di coinvolgersi in qualsiasi tipo di competizione che potesse mostrare la propria superiorità, con risultati alterni. Ma per quanto riguarda la corsa all'Himalaya, potremmo dire che un italiano fu davvero in qualche modo un precursore. Il suo nome era Luigi Amedeo di Savoia, duca degli Abruzzi. Fu lui che nel 1909 guida una spedizione sulla seconda montagna più alta della subcatina del Karakorum, sulle carte abbreviata in K2, aprendo una via che viene utilizzata ancora oggi, quella della Cresta Sud-Est, conosciuta in tutto il mondo come Sperone degli Abruzzi. Dopo questa spedizione gli italiani fanno il loro ritorno solo nel 1954, con un gruppo guidato dal professore Ardito Desio, un geologo di mezza età dagli atteggiamenti marziali che ben presto gli costarno il soprannome di Tucetto. Stessa montagna, ma questa volta un obiettivo diverso, la cima, e con essa la gloria. Quando la spedizione partì, ad aprile del 1954, gli inglesi avevano conquistato la cima dell'Everest da un anno, e tre anni prima i francesi erano riusciti a piantare il loro tricolore sulla Annapurna. Per Adito Adesio e per molti altri, il K2 era diventato oramai una questione di orgoglio nazionale, così il tutto venne organizzato in grande, molto in grande. Adesio vennero garantiti l'equivalente in lire di un milione e mezzo di euro, otto volte il budget di tre fallimentari spedizioni americani precedenti, e tre volte quella inglese dell'Everest, tutto sponsorizzato da Alkive, il crab alpino italiano. Le prime operazioni di avvicinamento e di allestimento del campo base andarono tutto sommato nella norma, con qualche ritardo che in questi casi è quasi sempre fisiologico. Preparare i campi successivi invece non fu affatto facile. Quasi ogni giorno le pareti del K2 sono sferzate da violentissime tempeste di neve, che associate alle ripide pareti ghiacciate hanno garantito alla reputazione della montagna di essere uno degli 8000 più difficili. Mentre la squadra di alpinisti era alle prese con la montagna, Desio al campo base aveva in posto una ferrea disciplina militaresca e comunicava con i suoi scalatori attraverso degli ordini del giorno, scritti e fatti recapitare, sempre con poco militaresco ritardo e quindi ignorati, dai fondamentali portatori Hunza, una comunità pakistana come quella più famosa degli Sherpa. Ma nonostante queste enormi difficoltà, finalmente alle ore 17.30 del giorno 30 luglio 1954, per la prima volta nella storia due uomini conquistano l'inviolata cima del K2, e sono due italiani, Achille Compagnoni e Lino Lacedelli. Il merito va riconosciuto a tutta la squadra di Desio, ma di sostanziale importanza furono soprattutto altri due alpinisti, Walter Buonatti e il portatore Hunza Madi, che furono costretti a bivaccare la Diaccio scavandosi un gradino nel ghiaccio a 8000 metri, mentre portavano le bombole dell'ossigeno necessarie per i due compagni di punta. La notizia vola e Desio pregusta la gloria. Dino Buzzati scriverà a proposito di questo momento. Hanno vinto. Da parecchi anni gli italiani non avevano avuto una così bella notizia. Perfino chi aveva dimenticato cosa sia l'amor di patria. Tutti noi, a lieto annuncio, abbiamo sentito qualcosa di cui si era persa l'abitudine. Una commozione, un palpito, una contentezza disinteressata e pura. Vengono dimenticati il calcio, il ciclismo, la vergogna del fascismo, l'umiliante debito nei confronti dell'esercito alleato. Quando la spedizione sbarca a Genova ci sono 40.000 persone sulle banchine. Il gruppo venne ricevuto dal Presidente della Repubblica e dal Papa. Il film, Italia, K2, è un successo colossale. La foto della vetta divina un simbolo. Compagnoni e lacedelli sono uno di fronte all'altro. Ai loro piedi, accanto al gagliardetto tricolore, giace una maschera dell'ossigeno. I due eroi dicono di aver fatto le ultime due ore di ascensione, da 8400 metri in poi, senza il prezioso gas che era finito. Ed è un exploit in più, che cetta combustibile sull'entusiasmo della patria, oltre che un ulteriore record. Ma quella del K2, oltre ad essere una storia italiana, è anche una delle tante troppe storie all'italiana, e lo possiamo dire soltanto grazie a Walter Bonatti. L'albinista all'epoca della spedizione aveva appena 24 anni, ma nonostante l'età era da molti considerato la punta di diamante, uno dei candidati all'attacco finale alla vetta. Per portare quelle bombole d'ossigeno era stato costretto a passare la notte in parete, rischiando la vita, particolare relegato come secondario nella relazione ufficiale eppure nel film. Secondo l'alpinista era impossibile che l'ossigeno si fosse esaurito prima della cima, una menzogna diffusa per rendere l'impresa ancora più memorabile e a discapito del proprio contributo. Bonatti racconta quel momento dapprima in un libro, Le mie montagne, in cui dedica un capitolo alle ultime ore prima della conquista della Vetta. Questa sua raccolta di vicende alpinistiche esce nel 1961. Tre anni dopo, sul giornale La Gazzetta del Popolo, compare un articolo in cui viene accusato di aver tentato di raggiungere la cima sorpassando Compagnoni e Racedelli, di aver usato un'ora del loro ossigeno, compromettendo quindi la salita, ed aver abbandonato il portatore Madi, dopo il bivacco, con gravi congelamenti agli arti. Subito dopo la pubblicazione, Buonatti accusa l'autore Nino Giglio per diffamazione, dando via il cosiddetto processo K2. In tribunale si scontrano tre versioni, quella di Nino Giglio, la stessa di Compagnoni Racedelli e del capo spedizione Ardito Desio, quella apparentemente delirante del portatore Unzamadi e quella di Buonatti, che sarà riconosciuta come veritiera. Fatta questa doverosa premessa, torniamo al 1954. E l'alba del 29 luglio, Walter Bonazzi ed altri tre compagni sono al campo 7, quota 7.345 metri. In quello stesso momento, Compagnoni e Lacedelli, i uomini di punta, sono al campo 8, a 7.627. Il piano per quel giorno prevede per i quattro compagni al campo 7 di portare rifornimenti ed ossigeno al campo 8. Il problema è che due dei compagni di Bonatti al campo 7 sono sfiniti e non possono salire oltre. I due rimasti, non potendo portare il carico di 4, decidono di ridurre tutto l'indispensabile forse anche di meno, e partire comunque. Alla sera dello stesso giorno, Bonatti e il suo compagno Gallotti, arrivati dal settimo campo, Compagnoni e Lacedelli si ritrovano nella stessa tenda al campo 8. La situazione appare disperata, è la seguente. I compagnoni Lacedelli il giorno dopo avrebbero dovuto allestire il campo 9, l'ultimo, dove sarebbero rimassi a dormire per poi compiere l'attacco finale alla vetta al giorno seguente. Ma il campo 8 non c'era abbastanza ossigeno per garantire agli uomini di punta tutti questi passaggi. Ce ne sarebbe stato se fossero saliti in quattro dal campo 7 con i rifornimenti, ma come abbiamo detto soltanto in due ci sono riusciti, Bonatti e Gallotti. L'unica speranza a questo punto era che la mattina seguente gli stessi Bonatti e Gallotti scendessero al campo 7, prendessero l'ossigeno e risalissero oltre il campo 8, dove si trovavano in quel momento a discutere, per incontrarsi con compagnoni Racedeglia al campo 9 nel frattempo allestito. A quelle quote, normalmente, un uomo in perfetta forma fisica ha le forze soltanto per salire di un campo al giorno. Bonatti e Gallotti sarebbero dovuti scendere di 1 dall'8 al 7, caricarsi di bombole e salire di 2 dal 7 al 9. A causa di quelle estreme circostanze, il campo 9 sarebbe stato piantato un pochettino più in basso rispetto ai piani a 8.100 metri, per facilitare quel rifornimento già ai limiti del possibile. Il giorno dopo gli uomini si dividono secondo i piani, i loro piani, perché Desio non poteva essere avvertito e rimarrà all'oscuro di tutto. Scesi al campo 7 però Bonatti si rende conto che Gallotti non è nelle condizioni di risalire. L'unico al campo 7 in buone condizioni è il portatore Hunza Madi. Bonatti cerca di convincerlo con promesse di laute e somme di denaro e la vaga speranza di poter raggiungere la cima. E così alle 15.30, dal campo 7 caricati di bombole, partono Walter Bonatti e suo nuovo compagno Madi. lo sforzo herculeo, aggravato dalle temperature e dalla quota. I due sono costretti a fermarsi ogni 20 metri per riprendere fiato, ma nonostante tutto procedono seguendo le orme di compagnioni Racedelli, che oramai sono nella loro tenda al campo 9 appena allestito. Il campo 9 però non si vede, eppure Bonatti e Madio oramai sono alla quota stabilita, attorno agli 8000 metri. Le impronte però proseguono salendo sempre più in alto. Ormai il sole è tramontato dietro l'immenso cono d'ombra proiettato dal K2 e l'aria si fa sempre più fredda. Sono le 18.30. Mahdi, veterano di quelle montagne, è agitato e a questo punto inizia a dare segni di preoccupazione. Bonatti chiama, urla, ma i due non rispondono né si fanno vedere. Oramai è buio, se fosse possibile la cosa migliore sarebbe scendere al campo 8 lasciando le bombole dove si trovano, ma entro il giorno dopo sarebbero state ricoperte di neve, introvabili da compagnoni e lacedelli che avrebbero dovuto quindi rinunciare alla cima. Ma soprattutto scendere senza luce sarebbe stato estremamente pericoloso oramai. In più Madia fuori di sé urla agitando la piccozza al cielo, più volte sul punto di cadere trascinando con sé il suo compagno. L'unica opzione disponibile a quel punto è prepararsi a passare la notte in parete. Iniziano quindi a scavarne il ghiaccio. Ogni colpo costa enorme fatiche, ma dopo un po' il lavoro è finito. Un gradino di un metro di lunghezza e 60 centimetri di profondità. Intanto, in preda alla disperazione, Bonatti continua a urlare, ed incredibilmente, dopo l'ennesimo richiamo, tra i colpi di vento filtra una risposta. Lacedelli e compagnoni gridano ai due di lasciare le bombole e di scendere. Bonatti risponde che non possono, che Maddy è fuori di sé. In lontananza vedono una luce accendersi. Pensano che stiano arrivando a prenderli, ma dopo qualche minuto ritornano all'oscurità. A nulla servono le nuove grida, nessuno risponde più. Il giro atroce inizia a paralizzarsi e si stringono il più possibile l'uno con l'altro, accovacciati sul gradino di ghiaccio. Le ore passano tra le folate di vento che le ricoprono di neve e qualche urlo di madi, finché finalmente albeggia. Ai primi raggi di luce, madi dall'aria allucinata, inizia la discesa verso il campo 8. A causa del giro di quella notte successivamente gli saranno amputate diverse dita delle mani e dei piedi. Bonatti lo segue con lo sguardo, poi riporta alla luce le bombole che erano state sepolte dalla tempesta e le lascia in vista per Compagnoni Racedelli, che le avrebbero usate per raggiungere la cima. Fatto questo, prima di scendere, guarda verso l'alto, sperando di trovare ai due compagni o qualche loro traccia, ma non c'è nulla. L'orologio segna esattamente le ore 7. Il resto lo sappiamo. Alle ore 17.30 dello stesso giorno, dopo aver recuperato le bombole, Compagnoni Racedelli raggiungono la cima, scattano delle fatali fotografie e poi scendono. Il processo di difamazione che coinvolge Bonatti in sé dura poco. Lo accusavano di aver voluto sorpassare Compagnoni Racedelli, ma gli stessi lo negarono. Di aver usato il loro ossigeno, ma non era possibile perché gli unici respiratori li avevano gli uomini al Camponove. Ed infine di aver abbandonato Madi, ma anche il portatore negò. Ma un tribunale non è la stampa, ed anche in un caso del genere, semplice e stupido per qualcuno, richiede inevitabilmente una chiara ricostruzione dei fatti, con dati e interrogazioni. È in questa sede che Bonatti ricostruisce per la seconda volta la storia, la sua versione almeno, che differisce da quella ufficiale in diversi punti, ma noi ci concentreremo su quello fondamentale, l'ossigeno. Secondo la ricostruzione di Compagnoni e Lacedelli, la stessa versione che ha trovato spazio sulla relazione ufficiale di Delio accettata dal CAI, le bombole si sarebbero scaricate alle ore 16, a 8400 metri. Secondo la versione ufficiale, Compagnoni e Lacedelli avrebbero recuperato le bombole sul luogo del bivacco di Bonatti e Madi alle ore 6 e un quarto, partendo subito dopo avrebbero quindi impiegato 11 ore 45 per raggiungere la cima alle ore 18 e 30. Ma Bonatti, come abbiamo detto, non vide arrivare nessuno fino alle sette. Secondo lui, ammesso che fossero spuntati anche subito dopo dal crinale, tra il tempo necessario per raggiungere le bombole, agganciare i respiratori e sistemarsene sulle spalle, non sarebbero potuti partire prima delle otto e trenta, impiegando così nove ore e trenta per raggiungere la vetta. 11 ore 45 della versione ufficiale, contro le 9 ore e mezza della versione di Bonatti. Questa differenza è sostanziale, perché è quel che bassa per giustificare la fine dell'erogazione dell'ossigeno a 2 ore dalla vetta. A causa di tutte queste incongruenze sulla fine dell'ossigeno ed altre ricostruzioni poco chiare della versione ufficiale, Bonatti vinse il caso. Il tribunale gli diede ragione, ma nonostante tutto la relazione definitiva della spedizione in mano al CAI non venne cambiata, ed in pochi d'altro canto seguirono il processo dall'inizio alla fine. Insomma, in Italia nessuno aveva intenzione di tornare sui propri passi, a gettare un'ombra su quell'impresa perfetta. Nessuno a parte Bonatti, che continuava a lottare da solo. Nel 1994 arrivevo per un aiuto. Robert Marshall, un mediocre alpinista australiano appassionato di storie di montagne e del caso K2, aveva recuperato delle foto della cima passata in secondo piano ed aveva notato dei dettagli particolari, a dir poco sospetti, che fecero parlare di nuovo del caso. In una foto Compagnoni sta togliendo i guanti e sul volto ha la maschera dell'ossigeno ancora attaccata alle bombole, mentre nella seconda si vede Lacedelli senza maschera ma con un alone di brina sulla barba, come se avesse appena finito di respirare da un erogatore. Per non parlare del fatto che da quello che si può vedere i due sarebbero arrivati in cima con due bombole a testa, un peso inutile non indifferente se fossero state davvero vuote. Ma la domanda finale che possiamo farci a posteriore rimane soltanto una. Perché mentire sull'ossigeno? Secondo Marshall, tutto nacque dalla già citata delirante deposizione che fece Madi subito dopo essere rientrato. Sempre secondo l'australiano, però, se la si legge tenendo a mente che tra Madi e gli italiani rappresenta una totale barriera linguistica, potevano infatti comunicare a gesti, tutto assume più senso. Vediamo alcuni dei punti salienti. Mahdi disse che Bonatti decise di sorpassare i compagnoni lacedelli per raggiungere la cima insieme a lui. Una follia sembrerebbe, ma in realtà a Mahdi per spronarlo era stato comunicato che ci sarebbe stata una possibilità anche per lui di arrivare in vetta. In più camminava dietro Bonatti, quindi non poteva vedere le tracce che li precedevano sulla neve. Da questa convinzione deriva inevitabilmente l'accusa di aver voluto usare l'ossigeno destinato ai due scalatori di punta. Era razionale pensarlo, dopo tutto i piani secondo Madi erano cambiati ed erano loro che sarebbero dovuti arrivare in cima. Disse anche che alla sera il loro bivacco era 200 metri più in alto, giustificabile se si intende in alto come più avanti di percorso, un errore di traduzione. In più avrebbe fornito dati molto contrastanti sugli orari, ma si scoprì che il suo orologio si era fermato, probabilmente per il freddo. Quando Madi tornò al campo base, venne interrogato dal responsabile pakistano e quello riferì la sua versione al capo spedizione Desio, il quale, già fuoribondo per i suoi ordini non seguiti, decide di credere a Madi senza neanche interrogare Bonatti. Compagnoni e Racedelli non fecero altro che confermare tutto e aggiungere la storia dell'ossigeno finito, sfruttando l'apparente sostegno di Madi. La notizia venne poi comunicata in Italia da Desio, lo stesso che in uno degli ordini del giorno precedente, scrisse... E sappiate che nessuno ha la facoltà di rivedere ciò che io scrivo, perché i contatti sono assolutamente personali. Vi prometto di valorizzare chi avrà saputo dare a questa missione come non avrei riguardo a metterla alla berlina che avresti ostacolato o anche solo ritardato il successo. Ebbene, Desio prestò fede alla sua parola e mise la berlina a Bonatti, rimuovendo il suo contributo da ogni relazione ufficiale, mettendo tutto a tacere. Lo fece così bene che nessuno avrebbe osato dire qualcosa, nessuno avrebbe saputo nulla, se non che dieci anni dopo, ironicamente sulla stessa stampa citata nell'ordine del giorno, comparve un articolo diffamatorio su Bonatti. Un classico articolo per tirare qualche copia in più, ma che invece fece crollare tutto. Bonatti nel 1965 vinse il processo. Il CAI decise di non esprimersi fino al 1995 e di revisionare la relazione soltanto nel 2004, quasi 40 anni dopo. Nel 2000 a Bonatti viene conferita all'Eliseo la légion d'honore, la massima onoreficienza francese. Il 18 aprile 2001, il presidente della Repubblica Ciampi brinda il Quirinale con Ardito Desio, al suo contributo dato alla scienza e alle sue spedizioni. Il capo spedizione morirà poco dopo, senza aver mai rinnegato la sua versione, come anche Compagnoni Racedelli. Nel 2004, Bonatti rifiutò il titolo di Cavaliere della Repubblica Italiana. Scrive in un articolo uscito su Repubblica nel 2003. Non mi interessa parlare della notte che mi cambiò la vita, che ha reso il mio carattere per sempre sospettoso e diffidente. Avevo visto la durezza della guerra. Il giorno prima, con i miei amici partigiani, giocavamo a calcio. Il giorno dopo erano nella chiesetta, cadaveri, sfigurati in viso dagli scarponi chiodati. Ho visto la fucilazione dei gerarchi fascisti. Ero a Piazzale Loreto quando appesero Mussolini a testa in giù come un maiare. Sapevo quesì era la cattiveria, ma ignoravo l'infamia. Ho aspettato due mesi che i compagnoni venissero a darmi una pacca sulla schiena, a dirmi che aveva fatto una fesseria, a chiedere scusa. Perché può capitare di essere vigliacchi, ma deve anche capitare di ammetterlo. Invece niente. Invece sono finito sul banco degli accusati. Ero io la carogna. Non loro che avevano mentito sull'uso delle bombe o delle maschere, sull'orario del balzo fino alla lavetta. E tutto questo perché? Perché l'impresa, oltre ad avere successo, doveva essere anche eroica. A far vedere che gli italiani erano stati non solo bravi, ma anche straordinari. Ne abbiamo fatto una montagna di merda, coperta di menzogne. Perfino la stampa straniera ci chiede il motivo. E tutto questo perché non riusciamo ad essere un paese pulito, dobbiamo strumentalizzare le occasioni, la verità, sporcare gli uomini. L'Italia è un paese di complici, dove non esiste solidarietà tra gli onesti, ma solo scambio tra diversi interessi, dove il sogno di desiderio doveva rimanere immacolato. Io sul K2 in una notte del 54 sono quasi morto, ma quello che mi ha ucciso è stato questo mezzo secolo di menzogna. Ho urlato così tanto quella notte nella mia disperazione che adesso non voglio avere più voce. La puzza del K2 la lascio a voi. Io preferisco respirare. Grazie per avermi ascoltato e alla prossima. [00:20:44] Speaker B: Avete ascoltato Ixunt Leones, un podcast scritto e narrato da Filippo Cucchetti, che sarei io, e prodotto da Unigiradio, la voce dell'Università di Genova. Se volete rimanere aggiornati su questo ed altri programmi, ed eventualmente per fare domande o osservazioni, potete seguire le pagine social che trovate in descrizione.

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